martedì 30 novembre 2010

L'industria europea, ed in particolar modo quella italiana, non si riprenderà. Ecco perchè

Ieri sono andato a fare un po' di spese. Sono andato a comprare degli articoli per la casa in un grande negozio della catena di prodotti di arredi di origine svedese e degli articoli di abbigliamento in uno dei negozi della catena di origine francese che nel  suo nome ricorda una disciplina sportiva composto da dieci specialità. Sono due aziende di origine europea; ma gli articoli che ho comprato da dove provenivano? Un rapido esame delle etichette ed ecco i risultati: Tailandia, Taiwan, Vietnam, India, Madagascar, Brasile, Egitto e Cina. Una nota interessante: l'unico prodotto di provenienza cinese è una lampada da tavolo piuttosto sofisticata, di quelle che grazie ad un sistema di molle si può posizionare in qualunque modo ad illuminare il punto dove serve la luce. Tutti gli altri prodotti, pur appartenendo alla categoria dei prodotti così detti tecnologici (nel senso stretto e non riferito all'uso dell'elettronica), provengono da paesi ancor più "sfortunati" della Cina. I due negozi erano pienissimi di visitatori e alle casse c'era un'attesa di circa venti minuti, malgrado vi fossero moltissime casse aperte.
L'industria europea ed in modo particolare quella italiana non ce la faranno mai a competere con i produttori che forniscono queste catene commerciali e quindi penso che in un prossimo futuro la crisi industriale è destinata ad aggravarsi. A meno che industriali, sindacati, governanti e cittadini non si rendano conto che l'Italia non è un paese ricco e che è necessario un ripensamento della situazione. Purtroppo non credo che sarà così.

domenica 10 ottobre 2010

Niente di nuovo a Copenaghen

originariamente postato su Spaces il 11/12/2009
 All’incontro dei "grandi dirigenti mondiali" svoltosi a Copenaghen, malgrado tutte le aspettative di accordi risolutivi per i problemi del riscaldamento climatico che ci erano state prospettate negli ultimi mesi, non si è giunti a niente. E tutto sommato, meno male! Ancora una volta si è dimostrato come la lotta per l’accaparramento delle risorse economiche è la forza motrice nell’essere umano. Il discorso che abbiamo sentito è stato all’incirca questo.Da parte dei paesi più ricchi: il problema sono i tassi di crescita nei paesi in via di sviluppo che devono rallentare la loro crescita.Da parte dei paesi più poveri: il problema sono i paesi più industrializzati che devono ridurre la loro capacità produttiva.Un bel discorso tra sordi ottusi. E non c’è nulla di cui stupirsi; come potrebbero arrivare ad un accordo i nostri "grandi governanti" se pretendono di impostare la loro discussione su un tema specifico che non c’entra nulla con le loro reali intenzioni. Infatti quello che qui interessava era, come al solito, la maggiore o minore disponibilità di risorse e non il problema dell’inquinamento.Va poi notato che in questa occasione il problema dell’inquinamento, se considerato nel suo significato più esteso, non era nemmeno fonte di dibattito. Qui si parlava solo ed unicamente delle emissioni di gas ad effetto serra come ad esempio l’anidride carbonica. Si, perché da qualche anno a questa parte, ormai e purtroppo, l’unico problema sono i gas ad effetto serra che provocherebbero il surriscaldamento del pianeta. Quasi come se le variazioni climatiche sulla terra fossero una novità degli ultimi dieci o venti anni.In realtà nella storia della terra si sono susseguiti periodi più caldi ed altri più freddi. Ne è prova il fatto che si sono avute varie epoche in cui gran parte del mondo era ricoperto dai ghiacci (le ere glaciali). Durante gli ultimi due o tre mila anni non ci sono stati variazioni così importanti di temperatura, ma si sono comunque alternati periodi in cui la temperatura variava di alcuni gradi in più o in meno rispetto alla temperatura attuale. Nel medio evo la temperatura media in Europa era sicuramente maggiore di quella attuale. Le alpi si potevano attraversare durante tutto l’anno attraverso i valichi che oggi sono impraticabili per gran parte dell’anno. Carlo Magno fu incoronato imperatore nella notte di natale dell’ottocento e per rendersi a Roma con il suo esercito dovette attraversare le alpi in pieno inverno; la Groenlandia, oggi quasi interamente ricoperta dai ghiacci, fu così chiamata (terra verde) dai vichinghi che la colonizzarono. La penultima variazione del clima è avvenuta intorno al quindicesimo secolo e ha dato avvio ad un periodo particolarmente freddo che si è protratto fino alla fine del diciannovesimo secolo. Si tratta di un periodo chiamato dai geografi "la piccola era glaciale" durante il quale i ghiacciai si sono particolarmente allungati, fino a minacciare alcuni centri abitati. L’inversione di tendenza è avvenuta all’incirca all’inizio del ventesimo secolo quando i ghiacciai hanno smesso di estendersi ed hanno cominciato lentamente a ritrarsi. A quell’epoca in Europa la rivoluzione industriale era certamente già compiuta, ma la situazione globale sul pianeta (industrie presenti solo in alcune zone geografiche, estensione delle foreste, ecc.) era tale per cui questa variazione climatica non può essere attribuita alle attività umane. Si tratta di una delle tante inversioni di tendenza nel clima che si ripetono fin dalla notte dei tempi. Ovviamente negli ultimi anni l’effetto di questo piccolo riscaldamento è diventato visibile a tutti. In modo particolare nelle alpi i ghiacciai, che durante la "piccola era glaciale " si erano estesi fino a raggiungere quasi il fondo valle, si sono ridotti e ora il loro fronte si trova più a monte dove non arrivano le automobili e quindi quasi nascosti alla vista dei turisti. Molti di noi si ricordano che da bambini vedevano dalla strada la possente lingua glaciale scendere dalla montagna ed ora non c’è più. Il clima terrestre è in una fase di aumento della temperatura, questo è innegabile.Da circa venti anni alcuni scienziati sostengono che questo riscaldamento sia dovuto principalmente, o almeno in parte all’aumento nell’atmosfera terrestre dell’anidride carbonica e che questo sia conseguenza delle attività umane. L’anidride carbonica viene prodotta in praticamente qualsiasi attività chimica, compresa quella biologica. La vita, così come si è sviluppata sulla terra, utilizza delle sostanze (carboidrati) che "bruciate" nelle cellule producono come prodotti della reazione, tra l’altro l’anidride carbonica. Gli animali e quindi anche l’uomo espellono questo rifiuto della loro attività biologica attraverso la respirazione. L’anidride carbonica, per sua natura è una molecola poco reattiva e quindi molto persistente nel tempo. I vegetali, utilizzando l’energia fornita dal sole, attraverso la fotosintesi clorofilliana scindono la molecola dell’anidride carbonica nelle sue due componenti: ossigeno e carbonio. L’ossigeno viene nuovamente immesso nell’atmosfera ed il carbonio immagazzinato dalle piante per la costruzione delle sue parti e per permettere il proprio accrescimento. Proprio questo immagazzinamento del carbonio all’interno delle piante è alla base della teoria. Infatti noi stiamo bruciando da parecchi anni ed in quantità sempre crescente quel carbonio che le piante avevano immagazzinato al loro interno; si tratta del petrolio che trova la sua origine proprio in grandi quantità di vegetali che in epoche remote si sono trovate interrate in condizioni molto particolari. A questo si aggiunga il consumo di carbone fossile, di metano e la progressiva distruzione delle grandi foreste. Tutto questo porta ad una maggiore concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera proprio quando vi sono minori quantità di vegetali in grado di riassorbirla. E’ ancora tema di dibattito tra gli scienziati se l’anidride carbonica stia realmente aumentando nell’atmosfera e se questo processo sia irreversibile o se vi siano processi a noi ancora non noti che possano riportare il sistema in equilibrio. E’ parimenti tema di dibattito se un eventuale piccolo aumento dei gas di carbonio possa avere effetti reali sul riscaldamento climatico. Ma chi se ne importa. in realtà questo non è il problema. Se questo fosse il problema dei "grandi governanti" il dibattito non ci sarebbe nemmeno. Sarebbe sufficiente decidere che da domani non si utilizzano più ne petrolio ne carbone. La situazione è molto più complessa. La questione delle emissioni di anidride carbonica viene utilizzata dai paesi più industrializzati come un’arma economica nei confronti dei paesi più poveri.Il grande inganno è compiuto. Tutto il male della terra deriva dal consumo di prodotti che emettono anidride carbonica e quindi in primo luogo se ne limita la produzione imponendo ai cittadini una tassazione sullo stesso. Il secondo passo è quello di impedire ai paesi più poveri di accrescere il loro consumo energetico. Il trattato di Kyoto introduceva una limitazione teorica alla produzione di anidride carbonica. Teorica perché una impresa situata in uno stato tra quelli più industrializzati può scegliere se investire in impianti meno voraci di energia o se "acquistare" da paesi in via di sviluppo o decisamente poveri il diritto alle emissioni. In termini puramente matematici si riducono le emissioni (o perlomeno il loro progressivo aumento) lasciando inalterato il quantitativo emesso nei paesi ricchi ed impedendone la crescita nei paesi più poveri. Il tutto regolato dalle leggi del mercato e su base puramente volontaria. Tralasciando gli aspetti etici di un simile comportamento si arriva a lungo termine ad una situazione in cui le imprese situate nei paesi più ricchi riducono la possibile concorrenza delle imprese situate nei paesi più poveri non solo attraverso la migliore capacità tecnica ma anche attraverso l’oligopolio sull’utilizzo delle fonti energetiche. Il recupero del capitale investito nell’acquisto del diritto alle emissioni avviene in seguito attraverso la vendita di parte dei propri prodotti proprio ai poveri della terra.La questione delle emissioni di gas carbonico viene riutilizzata condita con tutte le salse possibili. E la massa degli imbecilli se ne rimpinza ben bene libando alla salute del dio consumo. Così alle prime avvisaglie di crisi del mercato dell’auto, piuttosto che investire sui trasporti pubblici (che brutto termine, sarebbe meglio dire collettivi) ecco che saltano fuori dal cilindro magico il riscaldamento climatico, le emissioni di anidride carbonica e tutte le paure che possono incutere ai poveri di spirito. "Compratevi l’automobile nuova che salverà il pianeta. Con gli incentivi non è poi cosi dispendioso". Suvvia fratelli miei, libiamo ancora e ancora alla salute del dio consumo fino a diventare totalmente ebri; fino a perdere la ragione, a credere che tutto è stato risolto, a non renderci conto che il problema è molto più complesso.

martedì 5 ottobre 2010

Je m'en moque - 2 parte - La miserabile esistenza di Luise Sochiot

Dopo il saccheggio della Valle d’Aosta da parte delle truppe francesi comandate dal maresciallo de La Huguette, si sparse dovunque la notizia che la causa stessa del saccheggio fosse stata la tagliente risposta di Théophile Sochiot: "je m’en moque". Ovviamente Théophile non aveva colpa alcuna ma come si sa, fa sempre comodo trovare un capro espiatore per le proprie disgrazie. Fu così, che accusato ingiustamente, Théophile dovette fuggire dalla Valle d’Aosta. Théophile era da poco rimasto vedovo ed aveva una sola figlia, Luise che fuggì insieme a lui. Si diressero verso il sud della Francia dove i suoi avi avevano abitato prima di lui. L’intenzione di Théophile era di recarsi a Marsiglia e da lì cercare di emigrare nel nuovo mondo. Arrivarono nella città mediterranea a tarda sera e Théophile poco prudentemente non pensò ad aspettare il giorno seguente per entrare in città e cercare alloggio in attesa della partenza. Entrati in città furono aggrediti da un gruppo di malfattori che per derubarli di tutti i loro averi, uccisero Théophile. Luise venne violentata dal gruppo e massacrata di botte fino ad essere lasciata per morta. Si risvegliò alcuni giorni dopo in un letto del convento delle suore dove era stata portata da qualcuno che al primo mattino l’aveva trovata esanime. Seppe dalle suore che era ormai rimasta sola. Dopo essere guarita dalle ferite fisiche si ritrovo, ancora adolescente, senza risorse e in mezzo alla strada. Non ancora guarita dalle ferite psicologiche conseguenti alla brutale aggressione si ritrovo dopo poco tempo ad esercitare "il più antico mestiere del mondo". Furono anni davvero difficili per lei, durante i quali rimpianse più volte di non essere morta. Certi volte si chiedeva se per lei che era stata abituata da bambina all’agio della vita borghese, che l’attività professionale di suo padre le garantiva, valeva la pena di vivere una vita del genere. Sempre la risposta era ancora quel motto medioevale che era stato quello dei suoi avi: "je m’en moque". A dispetto del degrado più completo nel quale era costretta a vivere Luise rimaneva una bella ragazza dotata di una buona cultura. Fu notata da un ricco mercante che quando era di passaggio a Marsiglia non mancava di "farle visita". E infine si decise a fare di lei la sua "maitresse". Le procurò un piccolo appartamento nella città di Orleans, modesto e riservato dove poterla incontrare in tutta tranquillità quando ritornava dai suoi viaggi. Il mestiere di Luise non era cambiato ma non era più obbligata a soddisfare tutti gli uomini che le si presentavano, poteva persino immaginare di essere tornata a far parte della buona società. Il denaro che le dava il suo amante non le permetteva di vivere agiatamente ma in modo perlomeno decente. Dopo aver sperimentato la povertà e le umiliazioni peggiori Luise era tuttavia timorosa che il suo amante si stancasse di lei e quando le capitò l’occasione diventò l’amante di altri uomini, facendo credere ad ognuno di essere l’unico a cui si concedeva. Questo le permise di risparmiare un piccolo capitale e le dava la sicurezza di non dover ritornare nel marciume da cui era uscita così difficilmente. Da uno di questi uomini ebbe una figlia, Anne. Anne era molto bella ed intelligente, ma figlia di una donna non sposata e con un passato poco chiaro alle spalle non poteva certo aspirare, rimanendo ad Orleans, di entrare a far parte della buona società. Per lei il futuro poteva al limite significare praticare il lavoro della madre. Ovviamente Luise non voleva una vita simile per la figlia. Fu lei a trasmettere ad Anne tutte le conoscenze che aveva acquisito da ragazzina, quando essendo figlia di uno stimato notaio poteva permettersi di studiare. Tra le nozioni culturali che Luise trasmise alla figlia vi erano anche notizie storiche sull’origine della famiglia. Al momento dell’uccisione di Théophile erano andati persi i documenti che di generazione in generazione erano stati ricopiati e trasmessi sin dal momento in cui Terzius si era stabilito ad Augusta Paetoria. La frammentarietà delle notizie storiche sulla famiglia è determinata dal fatto che Luise riuscì a trasmettere alla figlia soltanto alcuni eventi che a lei erano stati impressi in maniera indelebile quando aveva avuti occasione di leggere la storia della sua famiglia. Con Luise il motto dei De Socio si estese anche alla stessa storia famigliare: ne Luise ne nessuno dei suoi discendenti, almeno fino ad oggi, scrissero mai più la storia di questa famiglia. Ad ogni generazione, tra distorsioni e dimenticanze, qualche nuovo pezzetto dell’epopea andava persa.
Diventata una donna adulta Anne decise di lasciare Orleans. Luise vedeva così realizzato dalla figlia quello che qualche decennio prima era stato il desiderio di suo padre: trasferirsi nel nuovo mondo. In quegli anni i francesi avevano fondato in America una colonia ed una piccola città che aveva preso il nome dal duca di Orleans, all’epoca reggente del regno di Francia: Nouvelle Orleans. In Francia, nella "vecchia" Orleans, la cosa aveva una grande rinomanza ed è proprio nella Nouvelle Orleans che Anne decise di emigrare. La possibilità di una vita migliore per sua figlia convinsero senza difficoltà Luise a donare alla figlia la maggior parte del piccolo capitale risparmiato per finanziare il viaggio. Anne si imbarcava poco dopo a Marsiglia su uno dei tanti velieri che portavano, tra tante difficoltà, gli immigranti nel nuovo mondo. Mentre la nave si allontanava lentamente sul mare, dal molo Luise salutava agitando un piccolo fazzoletto. Sapeva che non avrebbe mai più visto la figlia; una piccola lacrima scendeva sulle guance ormai rugose. Era la prima volta che piangeva da quella terribile sera in cui era arrivata per la prima volta in quella città. Ora tutto andava come doveva, ora le ferite potevano guarire.
To be continued….

mercoledì 29 settembre 2010

Internet explorer 9: prime impressioni

Se da una parte microsoft annulla gli Spaces (cosa di cui sono parecchio dispiaciuto) dall'altra ha reso disponibile la beta di internet explorer 9 che  ho installato ieri. Il browser si presenta semplificato: sulla sinistra i due tasti "indietro" e "Avanti"; segue la casella dove digitare gli indirizzi, che ora funziona anche come casella di ricerca sui provider definiti (nel mio caso Google e Bing). Sullo stesso livello le tabs delle pagine aperte e infine 3 tasti per la pagina iniziale, i preferiti e gli strumenti (che contiene tutte le voci di menù che peraltro si usano poco). La nuova versione di IE supporta l'HTML5. Sono subito andato su Vimeo a vedere se è veramente superiore all'uso dei plug-in. Per l'utente del sito praticamente non cambia niente. A parte se si desidera una visione a tutto schermo. In questo caso infatti il video non è propriamente a tutto schero ma, per così dire, a tutta finestra. IE ha anche la possibilità di esecuzione in modalita tutto schermo. In questo caso la barra superiore sparisce e la si puo richiamare avvicinando il puntatore del mouse alla parte superiore dello schermo, un pò come si fa con la barra inferiore dei programmi. A proposito della barra inferiore: quando IE è a tutto schermo non risco a richiamarla con il mouse e sono costretto a premere il tasto windows sul tastirino, cosa piùttosto noiosa, almeno i certi casi. Interessante la funzione di scelta delle pagine quando si richiama una nuova scheda. IE si ricorda le pagine aperte di frequente e le propone con una apposita schermata all'apertura delle schede. Per ora sembra funzionare bene, tranne per il fatto che sul post non mi funzionano i pulsantini per inserire le immagini...

Je m'en moque

Capita a molti di pensare alle proprie origini. Ognuno di noi ha degli antenati che risalgono all’origine del genere umano, si potrebbe dire all’origine della vita sulla terra. Alcuni, però, si distinguono per la capacità di risalire nel tempo ad antenati certi. Per quanto mi riguarda sono l’ultimo discendente di una famiglia le cui origini risalgono a più di due mila anni fa.

I miei più antichi antenati appartenevano, in epoca romana, alla Gens Socia. Si trattava di una delle più antiche famiglie patrizie di Roma. Tuttavia, malgrado le loro nobili origini, i membri della Gens Socia non godevano di grande considerazione presso le altre famiglie senatoriali. Non si può dire che questo disprezzo non fosse giustificato, almeno secondo il pensiero dominante all’epoca. In un periodo in cui l’interesse per lo stato, per la Res Pubblica, era considerato il più importante la Gens Socia dimostrava per esso il più totale disinteresse.
Era un particolare pensiero filosofico che portava la Gens Socia a disinteressarsi delle questioni politiche. Mentre il pensiero stoico, seguito dalla maggior parte dei romani, proferiva che gli dei determinano il destino degli esseri umani e che il destino delle persone più nobili è quello di dirigere lo stato, i membri della Gens Socia affermavano che gli dei si disinteressano delle faccende degli uomini e che il futuro della città sarebbe stato legato soltanto all’insieme degli accadimenti causali dovuti alla grande variabilità delle decisioni umane, sulle quali la loro possibilità di interferire era nulla. Per questo ritenevano inutile perdere tempo ad occuparsene, a lottare per il potere che comunque rimane sempre effimero; in definitiva essi pensavano che la felicità, la soddisfazione di una vita serena stesse altrove. I più importanti personaggi all’interno della Gens Socia da questo punto di vista abbracciavano la filosofia epicurea. Sembra addirittura che alcuni membri della famiglia fossero stati allievi del grande filosofo greco (ma di questo non esistono notizie certe).
I rappresentanti della Gens Socia al senato non si schieravano mai con questa o con quella parte, arrivando così a scontentare tutti. Non si schierarono nemmeno durante le guerre civili del primo periodo imperiale. Diventato imperatore Augusto contestò alla Gens Socia di non essersi schierata dalla sua parte. Iniziò un periodo di persecuzione durante il quale la quasi totalità della Gens Socia fu assassinata per ordine dello stesso Augusto.
L’unico esponente della famiglia che per quanto ne so si salvò fu Tertius. Di lui non sappiamo molto; come indica il suo nome doveva trattarsi del terzogenito. Fu per un caso fortunato che non fu ucciso: egli era arruolato nell’esercito al seguito di Terrenzio Varrone, che durante la sua campagna nelle alpi sconfiggeva definitivamente il popolo dei Salassi che abitava in quella valle che oggi conosciamo con il nome di Valle d’Aosta. Di scarsa importanza nella famiglia, terzogenito e lontano da Roma, nessuno dovette accorgersi che era scampato al massacro. Persi ormai tutti i privilegi delle famiglie patrizie, Terzius si stabilì nella nuova città di Augusta Praetoria come colono. Sposato con una donna di origine salasse scampata alla deportazione come schiava ad Eporedia (l’attuale città di Ivrea) fondò la sua famiglia. Era diventato, come gli altri coloni, proprietario di un piccolo appezzamento di terra a ridosso delle mura cittadine.
Passarono i secoli, morirono gli imperatori costantemente in lotta per il potere su Roma; infine l’impero romano fu sopraffatto dalle invasioni barbariche. Nella piccola cittadina di Augusta Praetoria i discendenti di Terzius erano riusciti ad accrescere i loro possedimenti fondiari; con la maggiore ricchezza era loro riconosciuto anche un maggior prestigio e abitavano una delle Villae all’interno della cinta muraria.
Il momento di massimo prestigio della famiglia si ebbe intorno alla metà del decimo secolo. Alla morte di Carlo Magno l’impero era stato diviso in tre regni: d’Italia (comprendente anche
Provenza, Borgogna e Lotaringia), di Germania e di Francia. All’inizio del decimo secolo la parte centrale di quello che fu il sacro romano impero era divisa, tra l’altro tra i regni di Borgogna e d’Italia. La Valle d’Aosta si trovava sulla linea di confine tra questi due regni. Il re di Borgogna Corrado terzo era alleato con il re di Germania Ottone primo. Ottone dovette intervenire più volte in Italia nei confronti di Berengario secondo marchese di Ivrea che nel 950 aveva ottenuto il titolo di re d’Italia. Secondo Ottone tale titolo era stato usurpato e questo aveva giustificato il suo intervento in Italia. Nel 951 Ottone muoveva contro le truppe del marchese di Ivrea. Di passaggio nella città che fu Augusta Praetoria, che come detto era zona di confine, cercò di allearsi con alcuni dei più influenti abitanti. La sua scelta cadde su un certo Anselmo De Socio. La scelta fu probabilmente influenzata dal fatto che Anselmo non si mostrava interessato al potere politico e non dava troppa importanza alle questioni religiose. In particolar modo egli non riteneva di dover interferire nei rapporti tra il re ed il papato. Anselmo fece atto di vassallaggio nei confronti di Ottone e ne ricevette in cambio l’infeudazione di tutte quelle terre che già erano in suo possesso e della torre denominata Turris Sociorum identificabile con l’antico bastione posto nell’angolo a sud-est delle antiche mura romane. Come appare dall’atto di vassallaggio i De Socio non ottengono nulla più di ciò che già hanno, se non l’ufficializzazione della loro proprietà. Nel 952 Ottone otteneva per se il titolo di re d’Italia. Nel 957 l’esercito di Ottone assediava i marchesi di Ivrea nella loro fortezza dell’isola di San Giulio (lago d’Orta). A tale assedio dovette partecipare anche Anselmo De Socio in virtù del suo vassallaggio ad Ottone. Nel 962 Ottone era nuovamente in armi contro Berengario d’Ivrea e suo figlio Adalberto. Durante la campagna, alla quale non parteciparono i De Socio, Ottone fu incoronato imperatore. Fedele al pensiero della famiglia, e malgrado il vassallaggio nei confronti di Ottone Anselmo non intervenne nella contesa per il regno d’Italia ne nei litigi tra l’imperatore ed il papato scoppiati in seguito alla scoperta che il papa teneva una corrispondenza con i marchesi di Ivrea durante la guerra. Malgrado il disinteresse mostrato ancora una volta dai discendenti della Gens Socia per il potere, la nobile famiglia dei De Socio si trovava nella posizione prestigiosa di feudatari diretti dell’impero.
Il periodo di maggior prestigio per la famiglia De Socio corrisponde ad un periodo di prosperità e di rinascita della città di Aosta. In quegli anni la cattedrale e la collegiata di sant’Orso subiscono grandi trasformazioni a dimostrazione di una grande disponibilità di risorse. In questo contesto i De Socio prosperano come grandi proprietari terrieri. Tuttavia non controllano le vie di accesso alla città e si trovano per così dire schiacciati tra i visconti (che controllano l’accesso a sud) ed i signori di Porta S. Orso (che controllavano l’accesso ad est). Nella prima metà dell’undicesimo secolo la Valle d’Aosta entra a far parte dei domini dei conti di Savoia. I De Socio, essendo vassalli diretti dell’impero, rifiutano di sottomettersi al nuovo conte. I conti di Savoia debbono loro malgrado accettare la situazione e i De Socio possono continuare a godere di una speciale autonomia nei confronti del potere comitale. In quel periodo si trovano informazioni anche sul blasone della famiglia: argento con capo verde, un orso passante e motto "je m’en moque".
Il disinteresse dei nobili De Socio per le questioni politiche si dimostra nel fatto che la famiglia non è mai citata nei documenti ufficiali come ad esempio la carta delle franchigie del 1191. Tuttavia questo può essere motivato anche con il fatto che i De Socio non erano vassalli del conte. La fortuna della famiglia termina verso la metà del tredicesimo secolo. In quel periodo il conte di Savoia entra in conflitto con i signori di Bard, accusati di tradimento. Dopo la sconfitta di Ugo di Bard il conte di Savoia si impossessa delle sue terre e dei castelli. Purtroppo i De Socio avevano intrattenuto da decenni rapporti economici con i signori di Bard. Fu facile per il conte affermare che anche i De Socio avessero preso parte alle trame contro la contea. L’accusa era ovviamente falsa ma il conte intendeva togliere di mezzo un nobile che egli non poteva controllare a suo piacimento. Le terre e la torre furono confiscati al nobile JeanDe Socio. La torre probabilmente era ormai ridotta a rudere: infatti non ci giunge notizia che sia stata infeudata ad altri signori. La cattiva condizione della torre va cercata nell’impossibilità per i nobili De Socio di eseguirvi dei lavori di consolidamento. Un miglioramento delle caratteristiche difensive della struttura non autorizzato dal conte di Savoia sarebbe stato un ottimo pretesto ad intervenire da parte dello stesso conte o del suo rappresentante il visconte di Aosta.
Esiliati dalla contea di Savoia, i De Socio si diressero verso oriente, finendo con lo stabilirsi a Costantinopoli. Alla fine del quattordicesimo secolo esisteva a Costantinopoli un Lorenzo Socio che esercitava il commercio e l’allevamento dei maiali. Uno dei figli di Lorenzo, di nome Ferdinando si era messo in testa di vendere carne di maiale agli ottomani. Non tenendo conto del divieto impostogli dal padre, lascio Costantinopoli alla volta degli accampamenti ottomani. Di lui non si seppe più nulla. Poco prima della caduta di Costantinopoli avvenuta nel 1453 i Socio si trasferirono in Francia dove il loro nome mutò in Sochiot. Alla fine del sedicesimo secolo un discendente della famiglia tornò ad Aosta.
Nel 1691 il Ducato di Savoia era in guerra con il regno di Francia. Al comando di una parte delle truppe francesi il maresciallo de La Huguette invadeva la Valle D’Aosta. Arrivato ad Aosta minacciò di saccheggiare la regione se non gli veniva consegnato un pesante riscatto in denaro. Per convincere la popolazione, La Huguette riunì alcuni notabili cittadini affinché convincessero tutti al pagamento del riscatto. Tra questi si trovava il notaio Théophile Sochiot che rispose con quello che era stato il motto dei suoi avi: "je m’en moque". La risposta di Théophile Sochiot fece arrabbiare moltissimo il maresciallo che ormai convinto di non avere possibilità di ottenere il riscatto decise di saccheggiare tutta la regione.






To be continued….

martedì 14 settembre 2010

Sono un orsetto L A U R E A T O

Ormai è già da un po' che mi sono laureato in Scienze Economiche all'Università degli Orsetti con 108 su 110. Niente male vero? La novità è che della mia laurea il mio amico Naughty Bear lo ha saputo solo ora e l'invidia gli ha fatto avere uno dei suoi terrificanti attacchi di cattiveria. Lui non si è nemmeno diplomato perché non ha la costanza ma soprattutto la calma necessaria per terminare gli studi. Comunque, sta di fatto che in preda alla rabbia più profonda se ne è andato in giro a fare scherzi e cattiverie a tutti quelli che incontrava. Peggio per gli orsetti "tutti pettinati e firmati" come li chiama lui. Per quanto mi riguarda mi sono messo al riparo ed aspetto che gli passi.

martedì 24 agosto 2010

Il cromlech del Piccolo San Bernardo: le ultime scoperte

La regione della Valle d'Aosta, anche per via delle altissime montagne che la circondano e che sono le più alte dell'Europa, è stata considerata fin dall'antichità come un luogo di particolare vicinanza agli dei. Sono molte le testimonianze in epoca antica che fanno riferimento alle divinità celtiche prima e romane in seguito. A dimostrazione di questo basti pensare che i due passi più importanti della regione sono stati intitolati prima agli dei Pen e Giove ed infine, in epoca cristiana, a san Bernardo. Fin dalla fine dell'ultima glaciazione gli uomini, ancora in parte nomadi hanno colonizzato la regione. Le popolazioni che si sono susseguite portavano le proprie credenze, la propria cultura e con il passare del tempo facevano proprie parte delle usanze delle popolazioni che li avevano preceduti. Con il passare dei millenni si è venuta così a creare una particolarissima identità culturale intrisa di credenze ed usanze ancestrali, alcune delle quali sono evidentemente giunte fino a noi deformate e reinventate per via dei continui apporti culturali che via via sedimentavano sugli strati sottostanti.


Le fondamenta culturali della popolazione valdostana si possono far risalire al periodo neolitico, ad un periodo che va dai cinque mila ed i tre mila anni prima dell'inizio della nostra era. Si tratta del periodo in cui le popolazioni nomadi giunte chissà come in Valle d'Aosta cominciano ad adottare modi di vita stanziali. Il clima era più caldo di quanto non sia oggi e malgrado le difficoltà di sfruttamento del territorio si sviluppano l'agricoltura e la pastorizia. Intorno al terzo millennio prima di Cristo fiorisce in tutta la valle una civiltà megalitica. Questi uomini, che arrivavano probabilmente da altre regioni sono i costruttori dei grandi apparati di pietre, spesso di dimensioni notevoli. Se le costruzioni megalitiche sono riscontrabili in tutta Europa va tuttavia osservato che quelle presenti in Valle d'Aosta presentano caratteristiche del tutto particolare, dovute evidentemente al recupero della cultura preesistente nel territorio. Ne sono un esempio caratteristico i siti dell'area megalitica di St. Martin de Corléans ed il cromlech del Piccolo San Bernardo.

Gli studiosi che si sono susseguiti nella ricerca in questi due siti sono sempre stati d'accordo sul fatto che questi luoghi dovevano essere rappresentazioni simboliche della vita, probabilmente piccoli osservatori astronomici in grado di misurare la ciclicità delle stagioni. Ricordando quanto detto prima relativamente alla ipotetica vicinanza degli dei a questo territorio ed alla grande importanza che le popolazioni preistoriche dovevano dare ai cicli vitali si è anche supposto che nell'area di St. Martin de Corléans fosse presente una serie di incisioni rappresentanti simbolicamente una aratura ed una serie di pali che sempre in modo simbolico potevano rappresentare il tempo della raccolta. In seguito le rappresentazioni sono cambiate e più che far riferimento al naturale susseguirsi dei cicli naturali dell'agricoltura, si è iniziato a far riferimento agli uomini stessi con le steli antropomorfe e le dispersioni di denti. Infine la zona venne utilizzata per le sepolture. Mi pare interessante, per terminare questa doverosa introduzione, notare come nell'area megalitica di St. Martin vi sia stato un evoluzione nell'utilizzo. Inizialmente dedicata ai riti collegati con la "madre terra" quando il gruppo di esseri umani è cresciuto in numero e si sono resi necessari sistemi di organizzazione sono emerse, all'interno del gruppo, delle figure di riferimento il cui culto è attestato dalle steli antropomorfe. Il passaggio seguente è relativo al culto non della persona ma del suo ricordo, nel tentativo per i potenti di raggiungere in un certo modo l'immortalità, attraverso sepolture particolarmente elaborate.

Ancora più interessante e misterioso è il cerchio di pietre, denominato cromlech, presente al colle del Piccolo San Bernardo. Durante gli studi svolti recentemente sull'area sono infatti giunto ad alcune conclusioni che inizialmente mi hanno lasciato alquanto perplesso. Le mie conclusioni derivano innanzi tutto dalle rilevazioni della posizione delle pietre, resa particolarmente difficile per via del fatto che alcune sono sicuramente state mosse (forse aggiunte) e altre mancanti. Si è pertanto resa necessaria, a partire dalle osservazioni in sito la ricostruzione il più fedelmente possibile di quella che doveva essere la loro posizione originaria. Uno dei motivi di interesse per il cromlech del Piccolo San Bernardo è la sua ubicazione. Posto in un luogo che era intitolato al dio delle montagne e dei viaggi si è pensato in passato che potesse essere una specie di luogo sacro dedicato a riti religiosi. Alcuni hanno anche ipotizzato che questo cerchio di pietre potesse essere un piccolo osservatorio astronomico, ipotesi che ho scartato immediatamente proprio per via della posizione, che per tale scopo ritengo non adatta. Ritengo più interessante notare che il cromlech si trova in una zona per così dire di "passaggio". Il colle rappresenta per se stesso un luogo geografico dove si passa da un ciclo all'altro per l'inversione salita-discesa. Le condizioni geografiche sui due lati del colle sono totalmente diverse. Ma il colle è anche il luogo d'incontro tra coloro che abitano sui due versanti della stessa montagna e che da essa sono riuniti. Infine si noti che il colle era intitolato al dio delle montagne e dei viaggi. Le mie osservazioni hanno tenuto conto anche della particolare situazione geografica della zona del colle. Il cerchio di pietre si trova in un certo modo inserito nell'arco naturale formato dalle montagne che lo circondano. Altro punto di interesse e di comparazione con gli altri siti megalitici come ad esempio quelli del nord ovest della Francia è dato dal fato che le pietre che lo compongono sembrano provenire dalla zona stessa del colle. Questa è una situazione atipica: per motivi che a noi sfuggono completamente, molti monumenti megalitici sono realizzati con massi provenienti anche da grande distanza. Nel caso del piccolo San Bernardo sono presenti, anche non troppo distanti, rocce con caratteristiche totalmente diverse da quelle presenti in loco che si sarebbero potute portare fino al colle, sempre che il monumento fosse nato per gli stessi motivi che hanno determinato la costruzione di altri monumenti. Il cerchio infine si trova esattamente nel punto di separazione delle acque. Tutte queste ed altre osservazioni mi hanno portato a ipotizzare che il cerchio sia nato per esigenze pratiche, senza troppe attenzioni al materiale utilizzato e dando viceversa maggiore importanza alla sua posizione e all'utilizzo. Il colle, punto di passaggio simbolico e di incontro tra le varie popolazioni doveva essere utilizzato per riti propiziatori ai quali partecipavano le popolazioni poste sui due lati della montagna e che in qualche modo condividevano la stessa cultura. Le successive analisi condotte in loco hanno fatto nascere una nuova ipotesi peraltro confermata dalle ricerche. Al colle si svolgevano, per motivi religiosi o sociali, dei combattimenti simbolici. Non è possibile determinare la ragione di tali combattimenti, ma certamente interessavano le popolazioni residenti sui due versanti che si incontravano esattamente nel punto di spartizione delle acque. Ulteriori indagini hanno portato ad una scoperta inaspettata. Questi combattimenti rituali avvenivano attraverso il combattimento di bovine. Se a prima vista questo può sembrare strano va ricordato che stiamo parlando di popolazioni che avevano acquisito da poco la tecnica della pastorizia che risultò importate per assicurarsi un apporto nutritivo costante.

Questa scoperta è particolarmente importante se si pensa che ancora oggi, in Valle d'Aosta, gli allevatori organizzano combattimenti tra le vacche che si svolgono principalmente in improvvisate strutture di forma circolare. Ed è forse per qualche reminiscenza atavica che uno di questi incontri avviene proprio al colle del Piccolo San Bernardo, poco lontano dal cromlech? Quella delle battaglie tra bovine è una usanza particolarmente radicata nella cultura tradizionale valdostana. Mi sono chiesto se le battaglie attuali potessero in qualche modo essere collegabili ai combattimenti rituali che si svolgevano nel neolitico e come potesse, questa usanza, essere arrivata fino ai giorni nostri.

Ad Aosta come in molte città di nuova costruzione, i romani costruirono anche un anfiteatro. Forse è stata la forma arrotondata come il cromlech o forse il disinteresse della popolazione locale per i combattimenti tra gladiatori ma sta di fatto che si è dimostrato, attraverso le ricerche archeologiche, che nell'anfiteatro romano di Aosta si svolgevano anche combattimenti di vacche.

Le ultime scoperte sull'uso del cromlech del Piccolo San Bernardo e dell'anfiteatro romano dimostrano come quella della battaglia tra vacche sia in valle d'Aosta un'usanza che affonda le radici nel passato più remoto. Diventato inutilizzabile per via del peggioramento delle condizioni climatiche il cromlech, i combattimenti si sono spostati nel fondo valle dove alcuni anni fa è stato costruito addirittura un nuovo luogo di combattimento: l'arena di Aosta che riunisce in se le forme del cromlech, dell'anfiteatro e quelle circolari che naturalmente gli allevatori realizzano quando organizzano nei pascoli i combattimenti.

martedì 6 aprile 2010

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e per ora non c'è altro da dire